martedì 4 marzo 2014

STIAMO RASCHIANDO IL FONDO DEL BARILE

La situazione economica è gravissima, il deficit ammonta a milioni di euro.
Questa è la preoccupazione più grande della prefettura di Agrigento con cui abbiamo avuto un incontro per discutere dei centri d accoglienza, vecchi e nuovi.
La macchina del business si blocca se i fondi messi a disposizione per l’accoglienza non si erogano, e molti enti gestori sono allo stremo, visto che non ricevono soldi da molto tempo. Questa situazione fa sì che le problematiche nei centri aumentino giorno dopo giorno.

Cosa fa un ente gestore se non ha più soldi da investire?
Ovviamente taglia dove può tagliare, e quindi diminuisce il numero degli operatori. Magari fa convenzioni al ribasso con il catering (quindi con quantità e qualità inferiori di cibo), le visite mediche diminuiscono e vengono riservate soltanto ai casi conclamati, le attività collaterali vengono del tutto annullate e, nei casi peggiori, non si erogano i pocket money o non vengono deistribuite agli ospiti le schede telefoniche…
Come sempre il risultato negativo è riservato agli “ospiti”, gli ultimi della catena. La metafora più che mai veritiera utilizzabile per farci comprendere la realtà in provincia di Agrigento è proprio“raschiare il fondo del barile”: se il ministero dell’Interno e il ministero del Lavoro non correranno ai ripari a breve,  la situazione in qualche centro potrebbe veramente diventare impossibile.
E nonostante le difficoltà, si continua a chiedere a qualche ente gestore di aumentare il numero dei posti disponibili per trovare spazio ai nuovi arrivati; ma con quale prospettiva?
Siamo soltanto a marzo e le difficoltà sono notevoli. Si continua a giocare con la vita delle persone, senza un minimo progetto di accoglienza degno di questo nome.

Ad Agrigento, come per le altre provincie siciliane, ci sono strutture di accoglienza che “non hanno posto” e quindi migranti trascorrono le notti sulle panchine della città, anche perché non esistono dormitori istituzionali (come comune o Caritas) e per mangiare la maggior parte dei migranti frequenta la mensa delle suore di Porta Aperta.
Non si trova una collocazione neanche per i nord Africani che frequentemente arrivano sulle coste agrigentine (fenomeno già denunciato in passato), che la prefettura non considera “sbarchi”, in quanto piccoli numeri di 10, 20 persone al massimo, che arrivano su piccole barche,  e che un volta approdati si dividono in coppia per non dare nell’occhio, ma quando vengono intercettati dalle forze dell’ordine, vengono immediatamente condotti nelle questure e in attesa dell’espulsione vengono fatti “accomodare” proprio dentro gli uffici della questura, per poi essere trasferiti a Palermo, da dove si compie il respingimento verso la Tunisia il più delle volte. A quanto pare proprio la scorsa settimana ad un gruppo di 12 tunisini neanche è stata data la possibilità di incontrare gli operatori del progetto Praesidium. I dodici sono stati trattenuti in questura per due giorni per essere poi rimpatriati da Palermo. 
Come mai arrivano così tante piccole imbarcazioni sulle coste, e come mai neanche i mezzi di informazioni ne parlano? Azzardiamo un’ipotesi: col progetto Mare Nostrum che attende di essere rifinanziato a fine marzo, forse non devono trapelare le falle del sistema? Ovviamente è solo una nostra ipotesi!!
Agrigento comunque si conferma una provincia di passaggio (spesso obbligato) per molti, anche per le 14 donne Eritree accolte nella nuova struttura della Caritas (in convenzione con la prefettura) per soli due giorni, in quanto allontanatesi per raggiungere la propria meta finale.

Abbiamo ancora una volta constatato come il silenzio istituzionale e la volontà di dare un indirizzo ideologico di stampo razzista ai fenomeni migratori possa generare pregiudizi nella popolazione locale, che non riesce ad essere informata adeguatamente e quindi vede nel ragazzo/a che arriva dal mare una continua minaccia verso il benessere dell’Italia, come se i migranti, per il solo fatto di non avere o non volere una vita migliore nel loro paese di origine, siano da considerare la radice dei mali della nostra società.
Infine dall’incontro con la responsabile della prefettura di Agrigento abbiamo anche potuto verificare come la lentezza burocratica, la poca attenzione e la scarsa umanità, hanno fatto ancora una volta soffrire migliaia di mamme, padri, fratelli e sorelle che ancora aspettano la possibilità di piangere il proprio caro ucciso nella strage del 3 ottobre scorso a Lampedusa. Ad oggi dopo 5 mesi da quella tragedia nessuna risposta è arrivata dalle autorità competenti.


Alberto Biondo
Borderline Sicilia Onlus