sabato 8 novembre 2014

A minor ragione

Il nostro sistema di accoglienza emergenziale prevede diversi luoghi, più o meno confortevoli, in cui migranti che arrivano dal mare come potenziali richiedenti asilo vengano ospitati per un periodo più o meno lungo. Nell’ultimo anno il numero dei minori non accompagnati è cresciuto esponenzialmente, ma il sistema emergenziale dell’accoglienza, non adeguatamente calibrato alle necessità, ha causato gravissimi disagi ai minori che andrebbero sempre e comunque tutelati secondo la legge italiana.
Ciò non avviene in moltissimi posti di “non accoglienza” in cui minori sono “mischiati” con gli adulti, ed in cui non si provvede ai loro bisogni psico-fisici, lasciandoli abbandonati per periodi più o meno lunghi (in media 4 mesi) in strutture non adatte.
L’ultimo caso che abbiamo riscontrato, purtroppo, è di una gravità enorme che travalica i limiti delle prassi legali, ma che da noi risulta comunque “normale”. Nel CAS “San Giorgio” gestito dalla cooperativa La Fenice, a Piana degli Albanesi, nel settembre del 2013 sono stati collocati dalla Prefettura di Palermo circa cento persone tra cui dieci minori non accompagnati. In seguito i minori sono stati sottoposti agli accertamenti per verificare la minore età, e dopo aver riscontrato che tutti e dieci erano effettivamente minori, nessuno ha provveduto al loro trasferimento. Uno solo è risultato maggiorenne al test. Si è fatto spedire da casa i documenti per dimostrare di essere minorenne e lo ha detto agli operatori che hanno risposto: “è troppo tardi”. Il ragazzino ha dovuto andare in commissione seguendo la procedura normale per adulti per mostrare i documenti e sentirsi dire “devi rifare la procedura per minori”.

Sarebbe facile additare l’ente gestore come l’unico responsabile, ma è opportuno fare delle considerazioni: per prima cosa la Prefettura ha inviato dei minori in un centro per adulti e li ha lasciati in un centro per adulti fino ad oggi, con l’aggravante che il comune di Piana degli Albanesi non ha in organico un’assistente sociale, per cui è stato nominato come tutore il sindaco di Piana, il quale ha ritenuto opportuno non occuparsi dei minori revocando la nomina nell’agosto 2014, cioè quando già otto di loro erano diventati maggiorenni.

Nell’arco di tempo trascorso nessuno è intervenuto, neanche gli operatori di Save The Children, che per mandato dovrebbero monitorare anche la correttezza delle prassi, ma che non riescono a farlo per la mole di lavoro enorme che hanno tra sbarchi e questioni burocratiche. Ovviamente il risultato è che otto ragazzi sono diventati maggiorenni, ed in un anno di presenza a Piana non hanno fatto niente, nessuna attività, nessun percorso di  integrazione, non hanno percepito nessun pocket money (l’ente gestore ha “regalato” una paghetta ai ragazzi visto che non hanno percepito nulla per la loro ospitalità), e adesso che sono maggiorenni devono cominciare l’iter burocratico.

Hanno affrontato la morte per buttare un anno della loro vita!!

La gestione delle politiche migratorie ci regala di questi orrori, perché quando non vi è attenzione verso i più piccoli, abbandonati e bisognosi di cure, questo è quello che succede.

Adesso bisogna porre l’attenzione sui due minori rimasti, per cercare di non essere recidivi, e per questo abbiamo segnalato il caso a Save The Children; il più piccolo dei ragazzi ha 17 anni e potrebbe stare in standby per un altro anno con conseguenti danni psicologici che già ad un primo approccio si evidenziano (anche per chi non è esperto).
Ma la storia del San Giorgio non è l’unica visto che in Sicilia sono nate tante strutture ponte per minori non accompagnati, che sono diventate il nuovo oro per i tanti enti gestori interessati a questo business; ed abbiamo potuto constatare che la maggior parte di questi nuovi centri non funziona perché appunto il sistema è marcio alla fonte: i minori sono visti come fonte di guadagno e quindi non c’è un progetto educativo ed integrativo alle spalle.
Tutto questo fa sì che i minori siano rimpallati da una struttura ponte ad un CAS ad un centro per minori, per poi compiere 18 anni e finire in un CARA; come nel caso dei tantissimi neo maggiorenni presenti al CARA di Salinagrande che dopo aver vagato per un anno o più in diversi centri in cui nessun ente gestore si è occupato della loro situazione giuridica, finiscono per ricominciare un percorso molto pericoloso e stressante che spesso li distrugge fisicamente e psicologicamente.
Durante il giro a Piana abbiamo riscontrato un altro caso di cui l’Italia dovrebbe vergognarsi: un signore originario del Bangladesh, Kamal,  arrivato ad Agrigento circa 6 mesi fa è stato trasferito a Villa Sikania per due mesi, durante i quali  si è lamentato per dolori ad una mano.
Nessuno ha dato attenzione alle richieste educate e timide di Kamal, fino a quando i dolori sono diventati lancinanti e finalmente è stato trasportato all’ospedale di Agrigento dove i medici hanno riscontrato l’impossibilità a trattare il caso per la gravità. Così Kamal è stato trasferito a Palermo dove è stato operato d’urgenza e gli è stata amputata la mano.
Circa 10 giorni fa Kamal è stato dimesso e riportato a Piana dove anche i suoi amici sono stati nel frattempo trasferiti; nel centro non riceve assistenza psicologica e le cure mediche sono inadeguate (in dimissione si parlava di curare il moncone con molta attenzione ogni 2 giorni) e dove si comincia a sentire il freddo tipico del paesino.
Anche in questo caso abbiamo denunciato la situazione alle organizzazioni di Praesidium, nella speranza che possano fare in modo che Kamal venga seguito nel modo opportuno.
Infine a Piana c’è un altro particolare: nel centro della Sklizza gestito dalla fondazione San Demetrio si trovano nella stessa struttura sia CAS che SPRAR con la difficoltà da parte degli ospiti a capire il perché del diverso trattamento.

Per ultimo abbiamo visitato un centro per minori non accompagnati aperto da poco tempo e gestito dalla Misericordia con molta familiarità ed attenzione verso i sei minori presenti nella struttura. La direttrice e l’assistente sociale ci hanno accompagnato all’interno della struttura, abbastanza confortevole ed hanno già  attivato diverse collaborazioni.
Perché ad esempio questo centro funziona ed altri no? Eppure il provvedimento dello scorso agosto emanato dalla Regione Siciliana determina degli standard ben precisi rispetto alla gestione di questo tipo di strutture, fissando dei paletti sul funzionamento, la capacità ricettiva, i requisiti strutturali, il personale. Ma a quanto pare, dietro il paravento dell’emergenza continuano a nascondersi prassi assolutamente discrezionali, che favoriscono, in molti casi, il business dell’accoglienza, e penalizzando, sempre, i diritti dei soggetti più vulnerabili.

Redazione Borderline Sicilia