sabato 5 settembre 2015

Delegazione LasciateCIEntrare al CARA di Mineo. Visita del 24 agosto.


Il percorso che ci conduce al CARA vede molte case diroccate nei campi. Secondo alcune testimonianze raccolte da tempo è li che spesso si prostituiscono le ragazze nigeriane del Cara. Sulla strada incontriamo ragazzi in bicicletta o a piedi. Si avviano verso i vicini paesi che sono molto distanti dal centro. Il Cara di Mineo si vede già da lontano. Si riconosce perché da fuori sembra un quartiere di periferia molto colorato, con villette a due piani. Uguali a quelle della base di Sigonella che ospita gli ufficiali americani. E' chiuso da una recinzione e già da fuori vediamo all'esterno alcune villette-bazar.

All'interno del CARA diversi migranti hanno una propria attività di vendita che va dai vestiti ai prodotti alimentari (sarebbe stato utile, se ce lo avessero permesso, verificare come avvenga la distribuzione delle case e delle stanze, visto che alcune villette sono diventate dei mini-market). Tutto questo alimenta un’economia sommersa che da sopravvivenza per alcuni diventa indebito arricchimento per altri. In realtà il Cara di Mineo è ormai diventato un vero e proprio paesino, anche a fronte della durata spropositata delle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato, e dei tempi ancora più lunghi dei ricorsi in caso di diniego. Ma di un paesino non ha alcuna struttura pubblica, nè di carattere sociale nè assistenziale.
Arriviamo con un po’ di anticipo all’appuntamento per poter parlare con alcuni dei migranti che passeggiano all'esterno della struttura. C'è anche chi fa sport ogni mattina correndo lungo la superstrada o vicino agli aranceti. Ci sono in ordine diverse macchine di migranti organizzati che effettuano un servizio di navetta improvvisato a pagamento per chi vive all'interno del CARA. Alcuni migranti vanno in bicicletta per recarsi nelle campagne vicine a lavorare a circa 15 euro al giorno. Non incontriamo donne, fatta eccezione per un'unica ragazza nigeriana ospite del Cara da circa tre mesi, che aspetta di poter ricongiungersi al marito che si trova in un CAS della provincia di Caserta, che ha già ricevuto il permesso di soggiorno; si sono sposati con matrimonio tradizionale e non hanno alcun documento che attesti la loro unione. La donna ha con sé esclusivamente un attestato nominativo alquanto anomalo; vi sono infatti indicati solo nome, cognome, nazionalità e data di nascita oltre che il nome del Cara. Non è indicata la data di arrivo in Italia, né la frontiera da cui sarebbe entrata; non ha alcuna carta sanitaria con sé e ci dice che nessuno ce l'ha.
C'è un ragazzo bengalese ospite della struttura da poche settimane, in attesa dell’audizione in commissione. Al Cara di Mineo l'attesa media è di oltre un anno. Il bengalese ha da poco compiuto 18 anni; è stato trasferito dal centro della Madonnina di Mascalucia (Ct). E' arrivato in Italia nell'ottobre del 2014 .
Alcuni ragazzi con cui ci fermiamo a chiacchierare non hanno l’attestato nominativo, ma solo una card, senza foto, che attesta l’inserimento nella struttura. Tutti hanno il “badge” che risulta facilmente cedibile. Per uscire dalla struttura le persone si affidano ai taxi "etnici" o ad un italiano che passa con una grande macchina chiedendo 5 euro a tratta.
Incontriamo un altro migrante che è al Cara da pochi mesi, anche lui trasferitovi dalla Madonnina, un centro in cui, a suo dire, gli operatori erano molto cattivi. L'unica cosa che chiede è di essere trasferito, qui non sta bene ma non ci dice perché. Insiste molto sulla Commissione: sa che qui si aspetta molto e lui vuole andare in un posto dove l’audizione in Commissione si fa prima; magari in un centro SPRAR.
Alle 11 circa entriamo al Cara di Mineo. La polizia ci ferma perché non ha ricevuto dalla Prefettura l'ultima autorizzazione con l'indicazione dei membri della delegazione. Gli consegniamo la copia che abbiamo con noi, precisando che l’ultima autorizzazione l’abbiamo ricevuta via mail alle 10:21 della mattina stessa. Il gestore già informato della nostra visita scambia via e mail informazioni con l’ufficio di Polizia all’ingresso. Noi aspettiamo. Finalmente ci fanno entrare. Siamo autorizzati a visitare solo le aree comuni; non possiamo quindi entrare negli appartamenti. Non possiamo fare né foto né video. Firmiamo un documento in cui veniamo indicati come "giornalisti". Ma noi non siamo giornalisti. Possiamo parlare con le persone solo previa informativa sui motivi e loro consenso verbale. Negli ultimi mesi alle delegazioni della Campagna hanno sempre impedito di documentare le visite con immagini.
Veniamo accompagnati nell'ufficio del direttore. Prima di entrare vediamo una casetta adibita a "Opportunità", dove ci sono diversi numeri di telefono con su scritto “Job”. La responsabile delle risorse umane ci dice che non si tratta di job ma di workshop (artigianato, computer, ecc.) organizzati per gli ospiti. Al momento 50 migranti sono stati inseriti in percorsi di tirocinio formativo nell’ambito del programma regionale “garanzia giovani” (ma i percorsi non sono ancora iniziati).
Nel Cara sono attualmente presenti circa 3.100 persone, a fronte delle 3.400 presenze dello scorso 24 luglio. Il  centro ha una capienza massima per 3.000 persone, ma in emergenza può arrivare fino a 4.000. Le famiglie presenti sono 40, i bambini sono tutti regolarmente iscritti a scuola o negli asili nido. Non abbiamo il numero delle donne presenti. La nazionalità prevalente è quella nigeriana. Non ci sono afghani. Il Cara è formato da 404 villette, all'interno delle quali vengono ospitate sette/otto persone, anche se alcuni richiedenti asilo all’esterno della struttura ci hanno detto che in alcune villette abitano anche 20/25 persone. C'è un'equipe che si occupa della logistica delle case. Dalle abitazioni i migranti sarebbero liberi di spostarsi senza vincoli. Nonostante nelle abitazioni vi siano i condizionatori, abbiamo notato diversi migranti con i materassi in spugna posizionati all’esterno delle case. Chiediamo come mai non abbiamo visto donne in giro, ma solo uomini. Il responsabile ci risponde che le donne preferiscono restare in casa. Non abbiamo ovviamente modo di verificare perché non abbiamo autorizzazione ad entrare nelle singole abitazioni.
Al Cara lavorano circa 400 operatori, 50 dei quali con funzioni specifiche: 7 legali, 8 assistenti sociali, 10 psicologi e diversi mediatori. All'interno sono presenti due- tre squadre delle forze dell’ordine, munite di camionette e altri autoveicoli. All’esterno la struttura è presidiata da militari dell’esercito e all’ingresso vi sono i carabinieri. Gli operatori legali sarebbero addetti all'informativa legale ed alla preparazione all’audizione in Commissione. I ragazzi che però abbiamo incontrato all'esterno ci hanno detto che nessuno di loro sta preparando niente e che l'informativa l'hanno ricevuta solo una volta, al loro arrivo al centro. Del resto sette legali per oltre 3000 persone sembra davvero un numero esiguo. Gli operatori legali del Cara non si occupano degli eventuali ricorsi, dopo la presentazione dei quali i diniegati potrebbero rimanere nel Cara "tutto il tempo che vogliono". Non abbiamo modo di incontrare alcuno dei referenti legali. Sempre attraverso le interviste all'esterno della struttura veniamo a sapere che i legali vengono pagati circa cento euro, ma non ci viene comunicato se sia un unico referente o chi sia. Dall’ente gestore ci viene consegnata una copia di un opuscolo informativo sui diritti all’interno del centro scritto in molte lingue dallo Staff dell’area legale del Nuovo Cara di Mineo, un opuscolo ben costruito.
I soggetti vulnerabili verrebbero collocati in abitazioni dedicate. Al momento sono presenti al Cara i migranti "scampati" al naufragio del 19 aprile per i quali sarebbero previste attività a sé stanti; questo gruppo sarebbe già stato sentito dalla Commissione territoriale. Chiediamo perché non siano stati spostati altrove, magari in un centro Sprar e l’ente gestore abbia segnalato la loro presenza al Servizio Centrale." Loro non vogliono andare via da qui. Si trovano bene!" così risponde il responsabile Maccarrone, mostrandoci anche una lettera degli stessi che esprimerebbero contentezza. Andiamo oltre, chiedendo se negli altri casi di persone vulnerabili si adotti la stessa prassi. A detta dell’ente gestore essendoci al Cara un'equipe preparata di psicologi e mediatori per i casi vulnerabili, evidentemente non c'è bisogno di chiederne lo spostamento. Per circa 80 persone sarebbe stata fatta richiesta di trasferimento presso centri Sprar, ma non sarebbe arrivata alcuna risposta.
I tempi della Commissione come detto sono lunghi, vanno da un anno ad oltre 14 mesi. Non si effettua accompagnamento legale in Commissione, nemmeno per i casi vulnerabili per i quali verrebbero preparate relazioni, quando si evidenzia la necessità. Non abbiamo incontrato gli psicologi che si occuperebbero di stilare queste relazioni. Pare che ogni giorno la Commissione visioni 14-15 richieste in tutto e che lavori dal lunedì' al venerdì, sia la mattina che il pomeriggio.
Chiediamo del pocket money, che qui viene erogato sotto forma di pacchetti di sigarette e basta. Il migrante all'arrivo riceve subito il badge personale; se per tre giorni non viene usato parte un “alert” sull'eventuale assenza del migrante e viene bloccata l'erogazione. A questo punto il direttore fa un discorso confuso sui debiti contratti (da oltre un anno) con non si capisce bene quali grossisti e poi afferma che l’acquisto delle sigarette e del  carburante presso il  vicino distributore Esso è legato alla disponibilità del gestore Silva, l’unico a far credito alla direzione del CARA. Riguardo al kit di ingresso, ci viene detto che viene dato tutto l’occorrente senza specificarne il contenuto; avrebbe valore di 90 euro e comprenderebbe schede telefoniche, tute, ciabatte e scarpe. I migranti ci hanno riferito di avere ricevuto alcuni vestiti di misure più grandi della loro. Pare non ci sia un servizio guardaroba attraverso il quale sostituire i propri vestiti, se rotti o rovinati. Riguardo al rilascio dei documenti, il direttore ci tiene a sottolineare che è la direzione a sostenere le spese per l’acquisto della marca da bollo e del bollettino. Sono invece a carico dei migranti le spese telefoniche e l’eventuale acquisto di un telefonino. Al Cara è presente la connessione internet esclusivamente all’interno della sala computer, dotata di  circa 10 postazioni che i migranti sfruttano a turno.
Ci informiamo sui mezzi di trasporto verso il centro abitato di Mineo. E' presente un servizio di navette con due autobus da 50 posti che funziona due volte al giorno. Ci si sale su prenotazione; se resti fuori, non ti puoi muovere o altrimenti usufruisci dei taxi “etnici” a pagamento o vai a piedi. Le attività di bazar all'interno del centro prevedono la possibilità di acquistare a credito.
All’interno del Cara per ogni comunità esisterebbe un rappresentante democraticamente eletto, con cui i gestori si interfacciano in caso di informazioni e novità. Gli stessi migranti si denunciano fra di loro in particolare per furti di telefonini.
Il menu sarebbe scelto con l'ospite. Non vi è un servizio di catering esterno ma un servizio mensa all’interno. Esistono luoghi di refezione distinti per uomini e per donne. I cibi tipici dei paesi di origine verrebbero acquistati a Catania. Esisterebbero 4 linee di distribuzione in cui verrebbero garantiti fino a 5.000 pasti a pranzo e a cena, oltre alla colazione.
A seguito dello scandalo “Mafia Capitale”, il Cara è stato commissariato; al momento vi sono amministratori giudiziari, quindi a detta del direttore i problemi sarebbero finiti. Il Cara partecipa regolarmente a bandi e nuove assegnazioni. Il direttore conferma che il Cara verrà trasformato a breve in un hub, infatti da un po’ di tempo non riceverebbero nuovi ospiti.
All'interno del centro si trova un presidio della Croce Rossa, che si occupa di visite mediche generali ed è in contatto con i principali laboratori di analisi e di medicina specialistica. Non si somministrerebbero psicofarmaci se non dietro prescrizione dello psichiatra di riferimento dell'ospedale di Caltagirone.
Al centro è attivo il progetto “Eva”, che riguarda le donne vittime di tratta, con cui vengono portati avanti percorsi di visite mediche anche durante il periodo di gravidanza. La dottoressa con cui parliamo ci dice che nel centro ci sono stati aborti solo spontanei. Anche in questo caso non abbiamo accesso alla visione di cartelle cliniche o altri dati. La dottoressa ci assicura che a tutti migranti viene rilasciato il tesserino STP di cui la Croce Rossa detiene, comunque, una copia. In merito all’attribuzione della carta sanitaria e all’iscrizione al SSN afferma che il problema sarebbe di ordino burocratico e vincolato alla stipula di un non meglio precisato protocollo fra ASP e Regione. Lamentiamo che diversi migranti, una volta usciti dal centro non hanno con sé nessuno storico di eventuali visite ed esami fatti nel corso della loro permanenza al Cara, e chiediamo di avere un riferimento in caso di necessità, visto che la dottoressa garantisce la presenza di un archivio. Evidentemente la malattia è segreta anche agli stessi pazienti. Nel centro dovrebbe essere presente un presidio dell’associazione MEDU, che purtroppo non incontriamo. Inoltre c'è un Ufficio Immigrazione, ma non riusciamo ad incontrare nessuno, perché c'è solo un impiegato. Le domande che vorremmo porre sono anche sulla mancanza di distribuzione dell’attestato nominativo.
Secondo il direttore in quella zona non esiste il caporalato, solo qualche "vecchietto" che si fa aiutare ogni tanto in campagna. Siamo perplessi. Al momento della nostra visita delle 3.000 persone, molte probabilmente sono fuori per lavorare. Li abbiamo visti rientrare di sera il giorno precedente in massa, chi in bici chi a piedi. Carichi di cose. I migranti parlano di un pagamento di circa 15 euro al giorno. Se chiediamo delle donne distolgono lo sguardo e non rispondono.
Ci rechiamo in mensa per vedere come funziona e cosa si mangia. Non abbiamo nulla da ridire al riguardo. Chiediamo poi di raggiungere l'altra estremità del campo, dove dall'esterno abbiamo visto migranti distesi su materassi collocati sotto gli alberi. Ci viene detto che non sanno se possono accompagnarci perché le disposizioni sono chiare. Ribadiamo che la strada è zona comune e che quindi vogliamo andarci. Siamo costretti poi per un "presunta paura di malore" di una delle nostre accompagnatrici a salire su un autobus a 40 gradi e senz'aria per finire il giro.
Ogni qualvolta avviciniamo, o ci avvicina, un migrante veniamo guardati con sospetto e ci viene intimato di non fermarci troppo. Cosa spaventa questa gente, al punto da non permetterci apertamente di fare due chiacchiere in santa pace con gli ospiti? Cosa nascondono? Usciamo dal centro, scambiamo le ultime chiacchiere con alcuni migranti sopraggiunti ed andiamo via.
La sensazione è quella di aver partecipato ad un teatrino ben concertato. Il solo fatto di non poter parlare con i migranti se non sotto stretta sorveglianza è vergognoso. Purtroppo i media locali enfatizzano le ispezioni parlamentari e le visite di giornalisti stranieri solo quando rilasciano dichiarazioni positive, nonostante il terremoto di Mafia Capitale. Così ci viene nascosta una grossa fetta di verità su questi luoghi; luoghi che si preferisce restino così come sono se si continua a permettere che nonostante l'infiltrazione mafiosa continuino a fornire accoglienza. Ribadiamo ancora una volta che l'unico modo per capire cosa accade in questi centri sono le visite a sorpresa di parlamentari ben informati, insieme alla società civile. Allontanandoci vediamo ancora migranti in bicicletta, di ritorno dalle campagne del "buon povero vecchietto". E le donne? Quando torneranno? E "dove saranno mai andate"?


La delegazione: Alfonso Di Stefano, Barbara Crivelli,  Gaetana Poguisch, Elio Tozzi, Chiara Denaro, Agata Ronsivalle, Yasmine Accardo